Ieri - in merito al processo per i fatti della scuola Diaz al G8 di Genova del 2001, quando al termine del blitz delle forze dell'ordine all'interno della struttura si contarono 93 attivisti del movimento feriti - è stata richiesta dai pm la condanna per 28 poliziotti e l'assoluzione per uno solo degli imputati. Le richieste variano da cinque anni a tre mesi di reclusione. La pena più alta (5 anni) è stata chiesta per Pietro Troiani, accusato di aver portato le due molotov nella scuola per dimostrare la pericolosità degli attivisti. Per i vertici della Ps Francesco Gratteri (Antiterrorismo) e Giovanni Luperi (Servizi Segreti), i pm hanno chiesto 4 anni e 6 mesi ciascuno. Complessivamente le richieste di condanna ammontano a 109 anni e 9 mesi. Le accuse vanno dalle lesioni al falso, dalla calunnia agli arresti illegali."I fatti che abbiamo illustrato sono così gravi perché minacciano la democrazia più delle molotov lanciate" ha detto il pm Enrico Zucca a conclusione della sua requisitoria.
Quello che colpisce - oltre all'emozione, oltre la pietà - sono due fatti. Il primo è la freddezza organizzata e quasi meccanica con cui la polizia ha sparato: i colpi si succedono ai colpi, le raffiche alle raffiche, senza che niente le possa arrestare, come un gioco, quasi con la voluttà distratta di un divertimento. Questo è già stato notato da tutti: e ora capisco come uno dei morenti abbia potuto pronunciare quella frase: "Mi hanno ucciso come sparassero a caccia". Proprio in questi giorni è di scena Eichmann: egli uccideva così, con questo distacco freddo e preveduto, con questa dissociazione folle. È da prevedere che le giustificazioni dei poliziotti che hanno sparato e ucciso saranno simili a quelle già ben note, pur con le debite differenze di atrocità: anchessi parleranno di ordini, di dovere, ecc.
Dalla rubrica "Dialoghi con Pasolini" - Vie Nuove n. 33 a. XV, 20 agosto 1960
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