lunedì 28 aprile 2008

L'INTERVISTA



Intervista a Matteo Sassi, capogruppo PRC nel consiglio comunale di Reggio Emilia.

Ciao Matteo, quali sono stati a tuo avviso i principali motivi della sconfitta?
La sconfitta elettorale e politica della Sinistra arcobaleno – e di tutte le forze aventi una concezione irrinunciabilmente sociale dell’agire politico – ha ragioni plurime e, ad oggi, ancora sconosciute nella loro profondità. Infatti, se è vero che questo risultato drammatico si è manifestato in modo immediato e dirompente sul piano elettorale, è altresì vero che nelle viscere del paese reale – e in primo luogo delle classi sociali popolari – ha covato a lungo il germe di ciò che potremmo definire “nuova antropologia politica”. Con questa definizione intendo porre l’attenzione sull’elemento che, a mio giudizio, ha caratterizzato non solo la tornata elettorale ma la stessa “costituzione materiale” della società italiana negli ultimi quindici anni. Mi riferisco al ripiegamento identitario e localistico – al nord come al sud – a fronte dei processi sociali ed economici che la globalizzazione ha portato con sé, senza risparmiare alcun angolo del paese. In altre parole, ha vinto, innanzitutto sul piano simbolico, la paura e la rassegnazione rispetto alla speranza di un’emancipazione individuale e collettiva. Le destre hanno fornito a questa paura e a questa irrazionalità innumerevoli capri espiatori, a cominciare dagli ultimi della scala sociale: diseredati, emarginati, migranti, poveri ecc. Possiamo affermare che si è prodotta una sorta di capovolgimento della storica “questione sociale”; non più “lotta di classe” tra oppressi ed oppressori per la redistribuzione delle risorse e delle opportunità ma “guerra tra poveri” per evitare l’ultimo gradino della scala sociale. Il materiale, vale a dire le condizioni di vita e di lavoro delle persone, è stato così sostituito dall’elemento simbolico della rivalsa verso gli ultimi, i diseredati e coloro che sono esclusi dalla stessa cittadinanza democratica come i migranti. In questa profonda e potente mistificazione della realtà, e della stessa questione sociale, risiede la sconfitta storica della sinistra. La sinistra si è quindi mostrata incapace ed inadeguata a comprendere i mutamenti in atto e, soprattutto, la loro pervasività. Infatti, anche tra gli operai aventi una certa coscienza della propria condizione sociale, si è sempre più fatta strada una cultura politica egemonizzata dalla retorica individualista e da sentimenti antisociali ed antiegualitari tipici dell’ideologia neoliberista. La sinistra politica è quindi bruscamente piombata nella realtà di un presagio che non l’aveva mai abbandonata: l’irreparabile distanza creatasi tra sé e i propri soggetti sociali di riferimento, a cominciare dai lavoratori. E’ sul mondo del lavoro dipendente - e sulla sua ri-organizzazione - che si sono infatti abbattuti i devastanti effetti della ristrutturazione capitalistica degli ultimi due decenni. Il portato di questa formidabile (re)azione è riassumibile, per capi fondamentali, nella frantumazione assoluta del lavoro – sia sul piano della coscienza di classe che della divisione e dell’organizzazione del lavoro sul territorio – e nella creazione – in primo luogo grazie ai nuovi sistemi telecomunicativi – di un universo simbolico e culturale confinato alla mera sfera intima e personale – e quindi egoistica - di ciascuno. Il risultato politico della combinazione di queste tendenze culturali e sociali risiede nell’interruzione di ogni narrazione collettiva – le sorti del movimento operaio e degli “oppressi” – e nella cancellazione di ogni spazio pubblico dove possa vivere una soggettività politica che punti alla trasformazione dell’esistente. Queste sono le coordinate di lungo periodo della sconfitta politica non solo della sinistra radicale ma di tutte le forze che rivendicano una dimensione sociale della politica. Per “dimensione sociale” intendo la volontà di incidere, tramite un’azione politica democratica, nei rapporti sociali e nella stessa organizzazione della società. Intendo quindi una vocazione ed una tensione dichiaratamente egualitaria – e quindi non discriminatoria - a fondamento della stessa “ragione politica”. E’ quindi necessario ripartire da una immersione nella società e nelle sue pieghe, anche quelle più oscure, per comprenderne le dinamiche e le pulsioni profonde. Dobbiamo rilanciare nei territori un lavoro di inchiesta sociale e di nuova comprensione della realtà a seguito della ristrutturazione del sistema produttivo e della stessa ridefinizione degli spazi che la globalizzazione ha operato.


Dopo la batosta elettorale tra i militanti regna un sentimento di solidarietà diffuso che mira ad analizzare a fondo i motivi della sconfitta e da li ripartire per ricostruire da zero. Dai vertici di Rifondazione Comunista invece si da l'impressione di essere maggiormente interessati ai regolamenti di conti e ai contenitori che a capire a fondo le ragioni e ripensare la Sinistra. Insomma, aumenta lo scollamento tra la base e la dirigenza. Questa classe politica ha definitivamente esaurito il suo ciclo? Qual'è il tuo punto di vista rispetto al futuro prossimo del Partito?

Penso che la classe politica della sinistra, a cominciare dai vertici di Rifondazione, debba operare un’attenta autocritica non solo per l’esito disastroso delle elezioni ma, soprattutto, per il deficit di conoscenza della realtà che ha dimostrato, esattamente come dicevo prima. Il problema è la separatezza che regna tra la sinistra politica e la società; è a questo livello che bisogna agire. Per questa ragione credo che la mera riesumazione di simboli e cimeli non possa fornire alcuna risposta credibile, ma soltanto produrre una caricatura di forme organizzative e culture politiche del passato alle quali, così facendo, non si rende neanche giustizia. Ritengo quindi che Rifondazione debba mettere tutta se stessa – la propria cultura e le proprie esperienze – all’interno del percorso unitario della sinistra, senza se e senza ma.


Parliamo comunque di contenitori, cosa pensi rispetto al futuro del progetto "La Sinistra l'Arcobaleno" naufragato tristemente alle elezioni di aprile?

Penso che “la Sinistra l’Arcobaleno” sia fallita in quanto mero cartello elettorale, privo di una cultura politica condivisa e di un’idea di società futura. Poi, indubbiamente, un ruolo decisivo l’ha giocato anche il cosiddetto “voto utile”, ma le ragioni profonde della sconfitta sono ben altre.
Penso che soltanto una Sinistra alla ricerca di una nuova cultura politica, plurale sul piano delle esperienze e delle culture ma unita sul piano politico e organizzativo, possa far fronte alle sfide del presente e rendere nuovamente attuali le ragioni – e le passioni – del socialismo del XXI secolo.

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