Comunicato del "Comitato verità e giustizia per Genova":
Un totale di "soli" 24 anni di pene per i maltrattamenti fisici e morali inflitti ai detenuti nella caserma di Bolzaneto è certamente poco, ma intanto il tribunale ha condannato 15 persone, fra agenti e personale sanitario, confermando che in quella caserma è stata scritta una delle pagine più nere nella storia recente delle nostre forze dell'ordine. Quel che emerge e spaventa è come il nostro paese considera le violazioni dei diritti fondamentali: un reato lieve e destinato alla prescrizione per i tribunali, niente di rilevante per la politica, incapace in questi anni di approvare una legge sulla tortura e di sospendere dal servizio i funzionari (spesso addirittura promossi!) imputati nei processi seguiti al G8 di Genova. A Bolzaneto furono commessi abusi inaccettabili: i maltrattamenti dei detenuti sono del tutto incompatibili con una democrazia. In questi anni è stato favorito in modo irresponsabile un clima di impunità. Alle forze politiche e al parlamento chiediamo: l'Italia è ancora una democrazia?
10 commenti:
Il problema è che spesso le forze dell'ordine vengono mandate nel bel mezzo di risse e di scontri a rischiare la vita per 1000€ al mese.. è normale che a volte gli scappi anche la pazienza!!
In ogni caso tutto quello non sarebbe successo se i manifestanti fossero stati a casa loro, oppure avessero manifestato pacificamente, non diamo la colpa sempre tutta da una parte visto che nemmeno c'eravamo!!
Fede
caro/a fede,
forse non hai capito il merito del processo in oggetto. il processo a cui fa riferimento il post è quello relativo ai fatti accaduti all'interno della caserma bolzaneto e non a quelli di "piazza" (ma anche su quelli ci sarebbero tante cose da dire).
il tribunale (non rifondazione comunista...) ha condannato proprio "quelli che guadagnano 1.000 euro al mese"...
forse dovresti informarti un po' di più prima di scrivere certe cose (ti ricordo che a genova è stato ucciso un ragazzo poco più che ventenne e tante/i altre/i sono state/i picchiati e torturati...).
copio e incollo un articoletto di giuseppe d'avanzo su repubblica di oggi (così forse si capisce dove siamo...):
"Non era la "punizione" degli imputati il cuore del processo per le violenze di Bolzaneto. Quel processo doveva dimostrare (e ha dimostrato in modo inequivocabile, a nostro avviso) che può nascere senza alcuna avvisaglia, anche in un territorio governato dalla democrazia, un luogo al di fuori delle regole del diritto penale e del diritto carcerario, un "campo" dove esseri umani - provvisoriamente custoditi, indipendentemente dalle loro condotte penali - possono essere spogliati della loro dignità; privati, per alcune ore o per alcuni giorni, dei loro diritti e delle loro prerogative. Nelle celle di Bolzaneto, tutti sono stati picchiati. Questo ha documentato il dibattimento. Manganellate ai fianchi. Schiaffi alla testa. Tutti sono stati insultati: alle donne è stato gridato "entro stasera vi scoperemo tutte". Agli uomini, "sei un gay o un comunista?". Altri sono stati costretti a latrare come cani o ragliare come asini. C'è chi è stato picchiato con stracci bagnati. Chi sui genitali con un salame: G. ne ha ricavato un "trauma testicolare". C'è chi è stato accecato dallo spruzzo del gas urticante-asfissiante. Chi ha patito lo spappolamento della milza. A. D. arriva nello stanzone della caserma con una frattura al piede. Lo picchiano con manganello. Gli fratturano le costole. Sviene. Quando ritorna in sé e si lamenta, lo minacciano "di rompergli anche l'altro piede".
C'è chi ha ricordato in udienza un ragazzo poliomielitico che implora gli aguzzini di "non picchiarlo sulla gamba buona". I. M. T. ha raccontato che gli è stato messo in testa un berrettino con una falce e un pene al posto del martello.
Ogni volta che provava a toglierselo, lo picchiavano. B. B. era in piedi. Lo denudano. Gli ordinano di fare dieci flessioni e intanto, mentre lo picchiano ancora, un carabiniere gli grida: "Ti piace il manganello, vuoi provarne uno?". Percuotono S. D. "con strizzate ai testicoli e colpi ai piedi". A. F. viene schiacciata contro un muro. Le gridano: "Troia, devi fare pompini a tutti". S. P. viene condotto in un'altra stanza, deserta. Lo costringono a denudarsi. Lo mettono in posizione fetale e, da questa posizione, lo obbligano a fare una trentina di salti mentre due agenti della polizia penitenziaria lo schiaffeggiano.
J. H. viene picchiato e insultato con sgambetti e sputi nel corridoio. Alla perquisizione, è costretto a spogliarsi nudo e "a sollevare il pene mostrandolo agli agenti seduti alla scrivania". Queste sono le storie ascoltate, e non contraddette, nelle 180 udienze del processo. È legittimo che il tribunale abbia voluto attribuire a ciascuno di questi abusi una personale, e non collettiva, responsabilità penale. Meno comprensibile che non abbia voluto riconoscere - tranne che in un caso - l'inumanità degli abusi e delle violenze. Era questo il cuore del processo.
Alla sentenza di Genova si chiedeva soltanto di dire questo: anche da noi è possibile che l'ordinamento giuridico si dissolva e crei un vuoto in cui ai custodi non appare più un delitto commettere - contro i custoditi - atti crudeli, disumani, vessatori. È possibile perché è accaduto, a Genova, nella caserma Nino Bixio del reparto mobile della polizia di Stato tra venerdì 20 e domenica 22 luglio 2001, a 55 "fermati" e 252 arrestati.
È questo "stato delle cose" che il blando esito del giudizio non riconosce. È questa tragica probabilità che il tribunale rifiuta di vedere, ammettere, indicarci. Nessuno si attendeva pene "esemplari", come si dice. Il reato di tortura in Italia non c'è, non esiste. Il parlamento non ha trovato mai il tempo - in venti anni - di adeguare il nostro codice al diritto internazionale dei diritti umani, alla Convenzione dell'Onu contro la tortura, ratificata dal nostro Paese nel 1988. Agli imputati erano contestati soltanto reati minori: l'abuso di ufficio, l'abuso di autorità contro arrestati o detenuti, la violenza privata. Pene dai sei mesi ai tre anni che ricadono nell'indulto (nessuna detenzione, quindi). Si sapeva che, in capo a sei mesi (gennaio 2009), ogni colpa sarebbe stata cancellata dalla prescrizione.
Il processo doveva soltanto evitare che le violenze di Bolzaneto scivolassero via senza lasciare alcun segno visibile nel discorso pubblico.
Il vuoto legislativo che non prevede il reato di tortura poteva infatti consentire a tutti - governo, parlamento, burocrazie della sicurezza, senso comune - di archiviare il caso come un imponderabile "episodio" (lo ripetono colpevolmente oggi gli uomini della maggioranza). Un giudizio coerente con i fatti poteva al contrario ricordare che la tortura non è cosa "degli altri". Il processo doveva evitare che quel "buco" permettesse di trascurare che la tortura ci può appartenere. Che - per tre giorni - ci è già appartenuta.
I pubblici ministeri sono stati consapevoli dell'autentica posta del processo fin dal primo momento. "Bolzaneto è un "segnale di attenzione"", hanno detto. È "un accadimento che insegna come momenti di buio si possono verificare anche negli ordinamenti democratici, con la compromissione dei diritti fondamentali dell'uomo per una perdurante e sistematica violenza fisica e verbale da parte di chi esercita il potere".
I magistrati hanno chiesto, con una sentenza di condanna, soprattutto l'ascolto di chi ha il dovere di custodire gli equilibri della nostra democrazia, l'attenzione di chi ostinatamente rifiuta di ammettere che, creato un vuoto di regole e una condicio inhumana, "tutto è possibile". Bolzaneto, hanno sostenuto, insegna che "bisogna utilizzare tutti gli strumenti che l'ordinamento democratico consente perché fatti di così grave portata non si verifichino e comunque non abbiano più a ripetersi". È questa responsabile invocazione che una cattiva sentenza ha bocciato.
Il pubblico ministero, con misura e rispetto, diceva alla politica, al parlamento, alle più alte cariche dello Stato, alla cittadinanza consapevole: attenzione, gli strumenti offerti alla giustizia per punire questi comportamenti non sono adeguati. Non esiste una norma che custodisca espressamente come titolo autonomo di reato "gli atti di tortura", "i comportamenti crudeli, disumani, degradanti". E comunque, il pericolo non può essere affrontato dalla sola macchina giudiziaria: quando si muove, è già troppo tardi. La violenza già c'è stata. I diritti fondamentali sono stati già schiacciati. La democrazia ha già perso la partita. I segnali di un incrudelimento delle pratiche nelle caserme, nelle questure, nelle carceri, nei campi di immigrati - dove i corpi vengono rinchiusi - dovrebbero essere percepiti, decifrati e risolti prima che si apra una ferita che non sarà una sentenza di condanna a rimarginare, anche se quella sentenza fosse effettiva (come non era per gli imputati di Bolzaneto).
L'invito del pubblico ministero e una sentenza più coerente avrebbero potuto e dovuto indurre tutti - e soprattutto le istituzioni - a guardarsi da ogni minima tentazione d'indulgenza; da ogni volontà di creare luoghi d'eccezione che lasciano cadere l'ordinamento giuridico normale; da ogni relativizzazione dell'orrore documentato dal processo. Al contrario, la decisione del tribunale ridà fiato finanche a Roberto Castelli, ministro di giustizia dell'epoca: in visita nel cuore della notte alla caserma, bevve la storiella che i detenuti erano nella "posizione del cigno" contro un muro (gambe divaricate, braccia alzate) per evitare che gli uomini molestassero le donne.
"Bolzaneto" è una sentenza pessima, quali saranno le motivazioni che la sostengono. È soprattutto una sentenza imprudente e, forse, pericolosa. Nel 2001 scoprimmo, con stupore e sorpresa, come in nome della "sicurezza", dell'"ordine pubblico", del "pericolo concreto e imminente", della "sicurezza dello Stato" si potesse configurare un'inattesa zona d'indistinzione tra violenza e diritto, con gli indiscriminati pestaggi dei manifestanti nelle vie di Genova, il massacro alla scuola Diaz, le torture della Bixio.
Oggi, 2008, quelle formule hanno inaugurato un "diritto di polizia" che prevede - anche per i bambini - lo screening etnico, la nascita di "campi di identificazione" che spogliano di ogni statuto politico i suoi abitanti. Quel che si è intuito potesse incubare a Bolzaneto, è diventato oggi la politica per la sicurezza nazionale. La decisione di Genova ci dice che la giustizia si dichiara impotente a fare i conti con quel paradigma del moderno che è il "campo". Avverte che in questi luoghi "fuori della legge", dove le regole sono sospese come l'umanità, ci si potrà affidare soltanto alla civiltà e al senso civico delle polizie e non al diritto. Non è una buona cosa. Non è una bella pagina per la giustizia italiana."
se hai bisogno di materiale per documentarti ne ho in abbondanza. dimmi qualcosa (sul serio).
davide
Per certi aspetti l'Italia non è mai stata democratica nel senso completo di questa parola.
Non lo è stata coprendo di segreti militari e non stragi, e altre marachelle, questa compresa.
Non è democratica perchè chi ha il potere economico ha anche il potere politico, perchè non ha mai voluto affrontare molti dei problemi "grossi" quali il conflitto d'interessi, il nodo della giustizia non certa, dei tempi lunghissimi per un porcesso, e per tanti altri aspetti.
Dall'altra parte siamo molto democtratici, in parlamento abbiamo mandato nel tempo pornostar, terroristi, affaristi,il proprio commercialista, i propri avvocati, ecc ecc.
Anzichè a fare schermaglie per difendere i propri orticelli di potere si dovrebbe trovare una convergenza su temi dai quali non si potrà scappare.
Oggi DiPietro che non è certo un estremista, sta dicendo "cose di sinistra" che la sinsitra stessa non ha il coraggio di dire in un orgia di buonismo.
Tanzi attende la fine dei pocessi che dureranno anni in una splendida villa, mentre i cittadini e pensionati che si sono trovati i bond parmalat tirano la cinghia.
E' questa la democrazia?
benvenuto Tritatutto, condivido quello che dici... però mi chiedo perché il DiPietro, così affamato di giustizia, si sia opposto alla commissione di inchiesta parlamentare sui fatti di genova.
Ancora (ma vado fuori-post), spero davvero che un giorno dica "cose di sinistra" davvero: ad esempio sulla questione salariale, sulle pensioni da fame, sul precariato. Personalmente Berlusconi lo vorrei davvero vedere affrontare a viso aperto un processo, invece di cucirsi le leggi addosso per evitarli tutti. Ma non è con Berlusconi in galera che gli Italiani arriveranno a fine mese, o avranno un lavoro stabile. Il vero problema è il Berlusconismo!
A presto e buon lavoro per il tuo blog!
LF
Non credo che sia necessario ricordare che Di Pietro non è proprio un comunistaccio, anzi pende verso il centrismo.
Però nella manifestazione di Roma ha detto assieme a Grillo e Guzzanti ed altri non citati dalla stampa cose che il centrosinistra si guarda bene dal dire , anzi condanna.
Si tratta di capire se è Di Pietro che sorpassa in velocità a sinistra o se la sinsitra sta ferma sulla cosia d'emergenza in attesa di un carro attrezzi, magari guidato da ex democristiani.
mah... le cose dette dagli "altri" (Guzzanti e Grillo in primis) non sono state condivise da DiPietro (attacco al Papa e Napolitano). In effetti l'asse DiPietro-Grillo poggia interamente sulle vicende giudiziarie. DiPietro non ha mai seguito Grillo su precariato e nucleare, per fare due esempi di tematiche di sinista. Eppure DiPietro attrae molti possibili elettori di sinistra. Come la Lega. Temo che sia una questione di come si pongono questi due partiti in termini di comunicazione.
LF
non solo in termini di comunicazione, ma anche una certa volontà di affrontare questi problemi, volontà che non è sempre così schietta in altri partiti
buongiorno, avete delle copie di "Noi della diaz"?
Per il primo anonimo: concordo, ma specifichiamo chi sono questi partiti, e come la pensano sui vari temi (salari, nucleare, pacifismo, precariato, e altro). Incluso il partito Dipietrista.
Per il secondo anonimo: secondo me in sezione dovremmo avere qualche copia ancora... ma devo controllare!
LF
sempre per fede (da cui aspetto sempre una risposta...): di seguito copio e incollo un articolo del "corriere":
«La polizia italiana è fascista»
Duro attacco del quotidiano britannico «Guardian» che commenta i pestaggi della scuola Diaz al G8 2001
DAL NOSTRO INVIATO
LONDRA - Picchiati senza pietà, in modo sistematico, non per ottenere una confessione ma semplicemente per il gusto sadico di infliggere un dolore. In un’inchiesta di sette pagine dal titolo «La sanguinosa battaglia di Genova», il Guardian mette sotto dura accusa la polizia italiana: «Questo non è il comportamento di un gruppo di esaltati. Questo è fascismo». Durante i pestaggi alla scuola Diaz e le torture nel carcere di Bolzaneto, racconta il quotidiano britannico, i poliziotti parlavano in modo entusiastico di Mussolini e Pinochet. I loro cellulari avevano suonerie con le tradizionali canzoni del ventennio. E i prigionieri furono costretti a dire più volte «Viva il Duce» o «Un, due, tre, viva Pinochet».
ACCUSE A FINI - «Senza il lavoro del pubblico ministero Enrico Zucca – scrive il Guardian – senza la posizione rigorosa della magistratura italiana, la polizia avrebbe potuto sfuggire alle proprie responsabilità. Tuttavia la giustizia è stata compromessa. Nessun politico italiano è stato indagato, nonostante ci fossere forti sospetti che la polizia avesse agito con la sicurezza dell’impunità». Nell’inchiesta viene citato l’attuale presidente della Camera, Gianfranco Fini: «Un tempo segretario nazionale del partito neofascista Msi e poi vice premier, Fini - secondo quanto scrisse in quei giorni la stampa - era presente nel quartier generale della polizia. Non gli è mai stato chiesto di spiegare che ordini avesse dato, se l’aveva fatto». Insomma giustizia non sarà fatta. La maggioranza dei poliziotti coinvolti nei fatti della Diaz e di Bolzaneto non ha ricevuto nemmeno un richiamo disciplinare. Nessuno è stato sospeso, nessuno è stato accusato di torture, spiega ancora il quotidiano, alcuni sono stati addirittura promossi. «Anche il prossimo processo ai 28 agenti che sono stati incriminati è a rischio perché il premier Silvio Berlusconi ha voluto una legge che ritarda tutti i processi che riguardano fatti avvenuti prima del 2002».
LA CONCLUSIONE - Amara la conclusione del Guardian. «Cinquantadue giorni dopo l’attacco alla scuola Diaz», 19 uomini hanno usato aerei pieni di passeggeri per attaccare l’America. Era l’11 settembre del 2001. «Da allora politici che non si definirebbero mai fascisti hanno autorizzato intercettazioni a tappeto di telefoni e email, detenzioni senza processo, tortura sistematica e arresti domiciliari illimitati». Non stiamo parlando di un fascismo messo in atto da dittatori «con gli stivali neri e la bava alla bocca» ma del pragmatismo di politici dalla faccia pulita. «Il risultato però – dice il Guardian – è molto simile. Genova ci insegna che quando lo Stato si sente minacciato, la legge può essere sospesa. Ovunque».
Monica Ricci Sargentini
17 luglio 2008
attendo (ancora) tue, davide
Posta un commento