venerdì 20 marzo 2009

NOI E LA CRISI: L'EDILIZIA

L’Italia, negli ultimi 25 anni, ha visto la quota dei profitti aumentare a dismisura a discapito di quella dei salari. Se nel 1983 la quota del PIL italiano relativa ai profitti, era pari al 23,12% quella destinata ai lavoratori superava i tre quarti. Dal 1985 in poi la fetta destinata al capitale inizia ad aumentare e non si restringe più, raggiungendo quasi un terzo del PIL nel 2005. Per i lavoratori 8 punti in meno rispetto a vent´anni prima. E’ una cifra enorme: gli stipendi non aumentano, grazie anche al precariato, il prezzo dei prodotti si, il prezzo delle case si impenna e per l’abitazione (ma non solo!) si ricorre ai mutui sui quali le banche speculano.
Il prezzo delle case viene mantenuto artificiosamente alto anche grazie ai bassi tassi dei mutui e alle varie amministrazioni locali che cementificano il territorio e non intervengono con politiche abitative degne di questo nome. E’ la bolla dell’edilizia, che adesso è esplosa. La crisi non è quindi solo speculazione di borsa.
Anche le amministrazioni locali hanno fatto la loro parte: per compiere gli investimenti economici spesso hanno dato il via libera a importanti interventi urbanistici.
E’ la politica del debito: per costruire nuove opere pubbliche si costruiscono case il cui impatto renderà insufficienti i servizi esistenti sui quali sarà necessario intervenire, costruendo nuove case per recuperare il denaro necessario.
Oggi, davanti alle evidenze della crisi è necessario chiedere a gran voce un cambiamento, culturale prima di tutto. Se fino a ieri il pensiero dominante era “se non si costruisce si blocca lo sviluppo”, da oggi sarà necessario pensare a “come e per chi si costruisce”, indirizzando l’edilizia, a partire da quella pubblica, il più possibile verso l’autosufficienza energetica e ritornando, dopo decenni, ad investire in edilizia residenziale pubblica.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

c'è tanta differenza?

http://www.corriere.it/cronache/09_marzo_20/veneto_piano_casa_stella_bcaebaf2-151a-11de-91ff-00144f02aabc.shtml

Anonimo ha detto...

Contro la crisi più ville per tutti

di Francesco Piccioni

su Il Manifesto del 21/03/2009

Dopo gli annunci, le indiscrezioni. Il «piano casa» che Berlusconi intende far approvare per decreto venerdì prossimo è stato gentilmente fatto arrivare alle principali agenzie di stampa e si vede subito che si tratta di un dispositivo peggiore di quello fin qui promesso.
Il testo conferma i punti più controversi, che avevano fatto parlare di «cementificazione selvaggia». Si potrà ampliare del 20% la cubatura dell'abitazione, con un pudico limite posto a «non oltre 300 metri cubi» (ovvero 100 mq, un appartamento supplementare di grandi dimensioni) e «non oltre i 4 metri» per eventuali sopraelevazioni. Mentre l'aumento possibile sale al 30% nel caso si demolisca un immobile - privo di vincoli storici, artistici o paesaggistici - costruito entro il 2008 (nelle «linee guida» si parlava invece di case costruite ante-1989). Se si adottano materiali e «tecniche costruttive di bioedilizia o di fonti di energia rinnovabili o di risparmio delle risorse idriche o potabili», invece, si potrà «crescere» anche del 35%.
Confermata anche la «libertà» di non chiedere il permesso all'autorità locale per procedere alla costruzione; basterà un via libera del progettista (per certificare che il progetto «rispetta tutte le condizioni previste dal decreto») e una dichiarazione di inizio lavori. Poi, se il potere pubblico vorrà controllare, sarà lui a doversi dare una mossa.
I peggioramenti sono numerosi. Intanto si parte con la validità del decreto su tutto il territorio nazionale «sino all'emanazione di leggi regionali in materia di governo del territorio». Se qualche regione vorrà tutelarsi, insomma, dovrà farlo di corsa. E in questo caso sia il presidente della regione Umbria, Maria Rita Lorenzetti, che l'ex ministro Luigi Bersani ravvisano una palese incostituzionalità (le competenze sulle politiche edilizie sono affidate proprio alle regioni e ai comuni). Ma non scherza neppure il permesso di cambiare «in tutto o in parte, la destinazione d'uso, con o senza opere edilizie» (con un trionfo di stalle trasformate in ville). Dulcis in fundo: chi deciderà di ampliare la prima casa avrà uno sconto del 50% sulla tassa che si deve ai Comuni per la costruzione.
Molto controversi anche gli effetti macroeconomici di una simile «libertà di cementificare». La Cgia di Mestre, con molto ottimismo, stima in quasi 80 miliardi gli investimenti mobilitabili a questo scopo nei prossimi anni. A occhio, l'associazione degli artigiani spera che parta la ricostruzione di almeno l'1% degli immobili edificati prima dell'89; e un 10% di ampliamenti di ville mono e bifamiliari (vere e sole destinatarie del «piano» berlusconiano). E' evidente, infatti, che qualsiasi aumento di cubatura sarà praticamente irrealizzabile nelle grandi aree metropolitane.
A guadagnarci, ancora una volta, saranno «i patrimoni o le rendite finanziarie», mentre restano nel libro dei sogni - come fa notare il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani - gli investimenti «che costruiscono il lavoro di domani, la ricerca di domani, l'università di domani; noi abbiamo bisogno di crescere attraverso il lavoro e attraverso il reddito prodotto dal lavoro». Insomma, secondo Corso d'Italia, «è una strada che non guarda avanti», perché premia l'immobilizzazione del capitale, anziché l'investimento produttivo.
E anche su questo ci sarà forse qualche delusione, per il governo. Il mercato immobiliare - spiega un rapporto pubblicato proprio ieri da Nomisma - fa i conti con un rapido calo dei prezzi delle case. Nel 2008 sono scesi del 2,2-2,4% (cui va sommata l'inflazione). Ma per l'anno in corso le previsioni - fondate sull'andamento del primo bimestre - parlano di un meno 8,5%. Un vero tracollo, che potrebbe sconsigliare quantomeno quella fetta di «ampliamenti» realizzabile per pura speculazione (aumento dei metri calpestabili per far salire il valore della casa). E anche chi - una minoranza, a quel punto - volesse ingrandire la villa per far fronte a una vera necessità abitativa, si troverebbe a fare i conti con banche che non erogano più credito. Le compravendite finanziate con un mutuo, spiega sempre Nomisma, sono calate del 26,8% nel 2008. Un fenomeno che riguarda soprattutto le fasce a reddito medio-basso, ormai escluse dalla possibilità di comprare (o ingrandire) casa. Se i soldi non li hai, non consumi. Ops: non costruisci.